Di Testa e di Filo

La xilografia come linguaggio anti-contemporaneo, 16 giovani xilografi

a cura di Edoardo Fontana

Studio Lab 138

via del mare 138 Pavona (RM)

Lo Studio Lab 138 ospita Di testa e di Filo, esposizione che si trasferisce ora a Pavona dopo aver fatto tappa al Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado e presso il Centro per l'Incisione e la Grafica d'Arte del Museo dell'Agro Veientano di Formello.

La mostra è una indagine nel mondo dell’incisione xilografica e propone una collettiva di sedici giovani artisti accomunati dall’aver frequentato i corsi dello xilografo Francesco Parisi alla Accademia di Belle Arti di Macerata o i suoi workshop estivi, spesso molto diversi tra loro per scelte iconografiche, tecnica e sentire, in controtendenza con le mode attuali sempre più spinte verso una banalizzazione dello strumento espressivo piegato a un astratto e allarmante “concettuale”, hanno deciso di dedicarsi alla xilografia: questa mostra diviene così un manifesto programmatico, una presa di posizione e il frutto di uno scavo, profondo, come il segno lasciato da sgorbia e bulino sulla tavoletta di legno. Talvolta in profondità con aspra e spigolosa forza, altre volte con segni appena percepibili, delicati graffi che marcano poi linee docili sulla carta.

Eppure, nella sua manifesta semplicità, l’incisione xilografica costringe a una continua meditazione sul rapporto tra stampa e matrice, materia quasi viva, e il suo riflettersi in controparte sulla carta attraverso la pressione e l’inchiostro. Disciplina collocata al di fuori del mercato poiché gravata di quella lentezza che impone la penetrazione della materia, l’incisione diviene apice di abilità di cui il disegno è certamente la più importante: sebbene qualcuno abbia sostenuto l’improvvisazione, non vi è demone peggiore di questa nel condurre alla banalità. Tra gli xilografi presenti nella attuale mostra mi pare di poter scorgere una severa attenzione al grafismo che non scade mai in una sterile ricerca d’effetto ma che invece inventa linguaggi personali e talvolta altamente suggestivi come nel caso delle composizioni dedicate a La ballade des Pendus di Françoise Villon incisi su legno di testa da Aurora Guarazzoni. L’artista descrive la luce e l’ombra della prigione ove anche il poeta francese aveva atteso il patibolo, senza esitazioni palesando maturità sia nella tecnica che nella scelta dei soggetti. È di nuovo una suggestione letteraria la fonte della ricerca di Giulia Aloisi che nasconde nelle zone buie di un paesaggio spettrale, Tenebris litaniis terrae, le demoniache presenze di Ambrosio e Matilda, protagonisti assenti del romanzo The Monk (1796) di Matthew Gregory Lewis. Differenti invece sono le xilografie di Antonia Lombardi, che con Bosco lunare e Torrente ci immerge in una misteriosa natura ispirata dalle vibrazioni sottilmente insinuanti, dalla sospensione onirica di artisti come Fransisek Kobliha a cui anche il segno riconduce.

Una apertura surreale scaturisce dalle tracce che gremiscono il foglio, a voler fuggire qualunque spazio bianco in uno straniante racconto controllato di bianchi e neri per François Iacob che già con i titoli delle sue composizioni ci accompagna in luoghi senza tempo, in ascese e sprofondamenti drammatici. Così Jacopo Pannocchia che utilizza un semplice disegno di un Elmo medievale, sospeso nel nulla e scavato con forza primitiva per ancorarci al simbolo metafisico di una disturbante presenza disarticolata e inaccessibile. Alessandro Cavallone con La donna lampada e con Il Gargoyle, rifiuta qualunque ancoramento alla realtà ed estrae dal legno due figure di ironica e giocosa semplicità.

Valentina Formisano nella sua grande xilografia Mattatoio, per mezzo del corpo smembrato di un maiale, guarda la morte attraverso la sua forma più scandalosa, attraverso una rappresentazione quasi sacra, liturgica e in un gioco di corrispondenze tra incanto dell’oggetto e orrore che esso nasconde implicitamente. Formisano, frantuma la vita in istanti apogeici e antieroici, formulando una teoria dell’immortalità personale e atea, fermando una istantanea piena di simboli e corrispondenze che possiamo intuire solo abbiamo voglia di guardare davvero. Predilige una morbida sequenza di passaggi tonali, ottenuti con trattamento superficiale a fine tratteggio della matrice, Salvatore Ramaglia in Ormeggio sicuro.

Un albero di baobab, che richiama i grandi tronchi disegnati da Duilio Cambellotti, sovrastato da un volatile è il soggetto di Adansonia Carbo (il nome scientifico della pianta) di Leonardo Fabretti che adatta l’uso espressivo dell’impronta della lama della sgorbia per sciogliere la composizione in una sintetica opposizione netta di bianchi e di neri; in Ade le sue figure riverberano inquietanti dalla tenebra come lamie estratte dal bulino fuori dalla notte. Con maggior libertà i neri profondi si stemperano talvolta in un tratteggio irregolare ed espressionista nelle due tavole dedicate alla falconeria e ai rapaci da Lisa Maria Ciccalè, Aquila Nepalensis, e Falconiera.

L’occhio si immerge, ora lentamente, nel buio della xilografia Autoritratto di Luna-Hoei Cini e percepisce tratti minuti e filamenti luminosi fino a materializzare misteriose forme antropomorfe di inquietanti e angosciose presenze. Sul filo di un gioco tra forma e messaggio contenuto nel titolo, a farci capire che l’investigazione va fatta sotto la superficie, si spingono Autoritratto e Felicità e virtù non sono argomenti di Allegra Donati: l’artista sonda, attraverso il disegno, la natura, spesso frammentaria, come il suo grafismo, della natura umana.

Sulla malinconica assenza e su di una sorta di immobile sospensione che gli autoritratti, inquadrati insolitamente e attraverso la trasparenza di un bicchiere di Alice Giangolini ci parlano. Visioni che diventano contorsioni di linee in un gioco di contrasti tra decorazione e aberrazioni ottiche nelle lisergiche composizioni di Sabrina Spreafico, Totem e Yang 2.0.

Si inserisce invece nella memoria della xilografia policroma di grande formato Marianna Guerra che con i suoi Marabù e il suo Pavone sembra rifarsi alle xilografie secessioniste di Carl Moser e di conseguenza a quelle giapponesi con una abilità nella scelta dei colori e nella messa a registro delle matrici straordinaria. Ancora a colori ma questa volta pervase da una spensierata facilità sono le immagini costruite da Diana Blu che parte da un quasi astrattismo alla Kandinsky − dove si colgono le forme animali in un magma indistinto di Acquario I − per sciogliersi nei gialli velati e giocosi della flora e fauna marina, ridotta a elemento decorativo, di Acquario III.

Nella circostanza di esasperata indagine di nuovi media, di scivolosa compenetrazione tra sistemi espressivi, la xilografia si presenta come linguaggio quasi inopportuno: non permette che gesti esigui, una immutabile e precisa grammatica di tracce. Passata attraverso la contingenza delle indagini informali del secondo dopoguerra, divenuta al più rifugio in una ingenuità banale, mimetizzata da poco ortodosse sperimentazioni, oggi, tramite il lavoro di pochi incisori, tra cui questi giovani cercano la propria strada, ricerca una audace avanguardia in cui è proprio il ritorno alla tecnica, la scandalosa inosservanza.

 

 

Esporranno gli artisti:

Giulia Aloisi, Diana Blu, Alessandro Cavallone, Lisa Maria Ciccalè, Luna-Hoei Cini, Allegra Donati, Leonardo Fabretti, Valentina Formisano, Iacob François Gabriel, Alice Giangolini, Aurora Guazzaroni, Marianna Guerra, Antonia Lombardi, Jacopo Pannocchia, Salvatore Ramaglia, Sabrina Spreafico.

 

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