Di segni - mostra collettiva

Testo

Di Segni

Mostra Collettiva

dal 8 al 23 luglio 2023

Rocca Colonna

Piazza Vittorio Veneto, 10

Castelnuovo di Porto (Rm)

Inaugurazione Sabato 08/07/2023 ore 18

 

  • Claudia Lodolo
  • Claudia Lodolo
  • Claudia Lodolo
  • Bahar Hamzehpour
  • Bahar Hamzehpour
  • Bahar Hamzehpour
  • Bahar Hamzehpour
  • Carlo Chiatti
  • Fabio Tasso
  • Fabio Tasso
  • Laura Giovanna Bevione
  • Laura Giovanna Bevione
  • Laura Giovanna Bevione
  • Laura Giovanna Bevione
  • Davide Sgrò
  • Davide Sgrò
  • Davide Sgrò
  • Davide Sgrò
  • Davide Sgrò
  • Annalisa Mercuri

Esiste un modo per viaggiare nel tempo e nello spazio.

Un sistema che permette di scambiare informazioni, tramandare usanze, culture, storie, esperienze di vita e umani sentimenti, un sistema con cui ci si può immergere in realtà passate e proiettarsi nel futuro.

Questo sistema è la lingua, un codice basato sulle parole, un insieme di segni e simboli con cui gli umani comunicano a distanza.

“La rivoluzione cognitiva che ha permesso all’Homo sapiens di avere la meglio sulle altre specie animali è consistita proprio nella capacità di elaborare e raccontare storie, nell’attitudine a costruire metafore. […] Le storie – dalle leggende delle antiche religioni ai racconti biblici, ai miti della società di massa – tengono insieme le grandi collettività umane e permettono imprese che sarebbero impossibili senza la capacità di raccontare il passato e immaginare il futuro.”[1]

Di Segni, il titolo della mostra, prendendo in prestito il titolo di una installazione composta da cinque lavori realizzati da Claudia Lodolo site specifc per il MAC[2], ci permette di mettere in campo una riflessione sulla relazione tra parola e opera d’arte, una pratica che pur essendo nota e consolidata da tempo non smette di dare frutti inediti.

L’inserimento materiale di lettere e parole all’interno di un’opera d’arte, parte già dai collage di Picasso e Braque, ma solo dopo Duchamp diventa chiaro che non è solo una questione estetica, ma è un’operazione sempre e comunque “di ordine linguistico e concerne il significato”[3].

L’uso della parola, nel linguaggio dell’arte, diviene pratica fondamentale, quando, firmando una normale pala da neve, Anticipo di un braccio rotto (1915) e un orinatoio, Fontain (1917), Duchamp, inaugura una ricerca ancora oggi in atto e che riconosce in Magritte il suo esponente di spicco. Con Ceci n’est pas une pipe, Magritte dispone un cortocircuito tra immagine e parola, tra l’immagine della pipa e la sua definizione verbale.

Gli artisti Concettuali rispondono con consapevolezza alle riflessioni magrittiane: ciò che conta mentre si fa arte “è soprattutto l’assunto iniziale, l’atto mentale che stabilisce la linea del procedimento e gli stessi risultati da raggiungere.”[4]

La parola ha una valenza che nessun altro materiale dell’Arte ha, può “dare forma all’esperienza raccontandola e a volte manipolandola […] può, anche, definire il mondo in termini nuovi”[5]. Le parole “sembrano non avere peso e consistenza, sembrano essere volatili, ma sono in realtà meccanismi complessi e potenti, il cui uso genera effetti e (dovrebbe implicare) responsabilità. Le parole fanno le cose”[6].

Per l’installazione di Claudia Lodolo, ma in generale per tutti gli oggetti artistici, “ciò che conta non è l’opera in sé stessa, il suo valore formale, ma il procedimento intellettuale che l’opera fa scattare nella mente dell’osservatore, sconvolgendone le tranquille aspettative teoriche e visive”[7].  Vagando dal testo scritto all’opera pittorica e viceversa, in un continuo gioco di rimandi, le lettere, i numeri, le frasi e i paragrafi, metteranno in campo idee, problematiche e poetiche diverse a seconda di come questi saranno messi in relazione con la forma globale dell’opera.

Contenuto e forma si alternano e si rafforzano reciprocamente, perché il sistema concordato di segnali che rendono comprensibile a chi legge cosa voleva intendere chi ha scritto, si va a sommare alle peculiarità estetiche e formali dell’opera. Se poi, come nel caso della performance realizzata in occasione dell’inaugurazione grazie alla partecipazione e organizzazione dell’Associazione di Volontariato Mettiamoci in Gioco, la lettura delle opere viene arricchita dall’interpretazione teatrale, si apriranno infinite possibilità di lettura, le lettere, le parole e i testi, che siano solo inseriti o siano parte preponderante dell'opera non comunicheranno mai solo e soltanto il concetto espresso, ma si arricchiranno e accresceranno esponenzialmente i possibili significati leggibili.

Collocando un diaframma tra lettore e contenuto testuale Carlo Chiatti, mette in discussione l’accordo implicito che c’è tra mittente e destinatario.

In Tilt e Apatheia il lettore, obbligato a districarsi in un labirinto di segni d’acciaio che celano parzialmente i testi incisi, percepisce la barriera come un oggetto estetico, un complemento da mettere in relazione tra i vari elementi componenti l’opera.

Un sistema che prevede la distribuzione di lettere, parole e frasi con un’organizzazione che se viene a mancare, non consente il passaggio di informazione, se infatti il segno è isolato, disconnesso e l’ordine lessicografico non è rispettato come nel lavoro di Fabio Tasso, i segni e i simboli collocati sulla superficie, non comunicheranno concetti verbali, apparentemente non trasmetteranno significato.

Il concetto espresso nel trittico E0TXY22VO dell’artista ligure, va ricercato nel gioco vuoto-pieno e nella serialità delle opere, con il suo lavoro Fabio Tasso mette in campo le riflessioni sull’opera d’arte nell’epoca della sua possibile riproducibilità tecnica e sull’impossibilità di comunicare in assenza di un’organizzazione coerente dei simboli e dei segni.

Una coerenza che può venire a mancare per tante ragioni.

Nelle opere di Davide Sgrò: Il Dio dei sicuri, Un nuovo linguaggio e Pre/senza; informazioni apparentemente replicabili all’infinito, a causa di un guasto tecnico, o del semplice passare del tempo, si sono deteriorate.

I frammenti di frasi, di lettere e numeri, come reperti archeologici, mettono in campo molteplici riflessioni.

Una riflessione sul cambio di paradigma, a cui stiamo assistendo, causato dal rapporto sempre più stretto con le macchine e con la realtà virtuale.

Una riflessione sulle conseguenze della digitalizzazione.

Ed infine una riflessione sull’impronta che il tempo può lasciare con il suo passaggio sulle informazioni affidate alle macchine.

I frammenti e le tracce presenti nelle opere dell’artista calabrese, rimandano al destino del sapere trasmesso e conservato.

Scritto su carta, recitato a voce o registrato su file il destino del sapere e delle informazioni trasportato dai segni è sempre affidato alla benevolenza del tempo nella speranza di evitare o almeno rimandare il più possibile l’oblio.

Il recupero della memoria e la paura dell’oblio sono temi messi in campo anche con l’installazione a due canali proposta da Laura Giovanna Bevione. L’installazione senza titolo solleva un interrogativo sul destino dei documenti affidati alle macchine (testi, immagini e suoni).

Grazie ai sistemi video la lingua orale ha acquisito la facoltà di essere immagazzinata e riprodotta da chiunque con facilità, ma anche questa facoltà deve fare i conti con il tempo e con possibili guasti in cui le macchine possono incorrere.

I due video parlano in modo diverso di una memoria persa, il primo con la ripetizione del messaggio “Problema di Collegamento. L’unità o connessione di rete alla quale da riferimento il collegamento non è disponibile” mette in campo una riflessione sulla fallibilità delle macchine, il secondo raccontando la storia di alcune persone, di cui si sono perse tutte le tracce, le riporta in vita per poi distruggerle con le parole.

Un meccanismo che ci costringe a fare i conti con la nostra storia e la provvisorietà del nostro destino, condannati ad un inappellabile oblio senza quasi eccezioni.

Un secondo lavoro della stessa artista, Amen, rimanda al patto stretto tra mittenti e destinatari, una adesione che avviene a livello inconscio, premessa imprescindibile perché le comunicazioni possano fluire.

Questa convenzione viene disattesa, utilizzando il codice ASCII per trascrivere alcune frasi. Utilizzando un codice linguistico estraneo alla maggior parte dei lettori il contenuto testuale sarà riservato a pochi, il restante pubblico potrà solo apprezzare il valore estetico dell’opera, sottolineando che la lingua è uno strumento di cui si tende a ricordare solo l’effetto. I racconti orali e i libri si basano tutti su questa convenzione che rende possibile a chi ascolta o legge di cogliere i concetti e le informazioni che chi parla o scrive voleva trasmettere, connettendoli.

Bahar Hamzehpour mette invece in campo una riflessione sulla disarmonia e l’interferenza, con il video Segno, Suono e Significato e della serie di litografie Le Parole e Le Immagini, sovrapponendo più volte la stessa parola detta in lingue diverse, porta alla nostra attenzione le difficoltà e le incomprensioni causate da codici linguistici non condivisi e dalle interferenze causate dall’eccesso di informazioni.

Residente da anni in Italia, per lavoro l’artista traduce e interpreta in 4 idiomi, una pratica che la vede costretta a pensare, scrivere e parlare in molte lingue diverse, con le sue opere mette in campo una riflessione autobiografica sul multilinguismo, ribadendo quanto ogni atto comunicativo ha come premessa necessaria la presenza di un medium comune: la lingua.

Annalisa Mercuri con l’opera Dunning-Kruger pone l’attenzione sul peso e l’importanza delle parole, sull’esigenza di leggere oltre il codice.

Utilizzando due medium diversi, per realizzare il contenuto testuale dell’opera, sottolinea il peso diverso che termini apparentemente simili hanno. Liberamente ispirato all’opera di Kosuth, non rifletta sul concetto di realtà e di rappresentazione, ma sui meccanismi di apprendimento,

essendo la scrittura manuale un chiaro riferimento ai metodi educativi.

L’artista veronese mettendo a confronto conoscenza e nozionismo mette in campo anche una profonda riflessione su come i cambiamenti causati dal mondo digitale e dagli ambienti virtuali stanno influenzando la

conoscenza tradizionale.

 

 

 

Titolo: Di Segni

Tipologia evento: Mostra collettiva, Arte contemporanea

Artisti: Laura Giovanna Bevione, Carlo Chiatti, Bahar Hamzehpour, Claudia Lodolo, Annalisa Mercuri, Davide Sgrò, Fabio Tasso.

 

Curatore: Laura Giovanna Bevione.

 

Abstract: Prendendo spunto da cinque lavori di Claudia Lodolo, la mostra per mettere in campo una riflessione sulla relazione tra parola e opera d’arte. In un gioco di rimandi tra contenuto e forma le lettere, le parole e testi sì arricchiscono di significati, alternandosi e rafforzandosi reciprocamente.

Patrocini: Comune di Castelnuovo di Porto

Date: dal 08/07 al 23/07 2023

Inaugurazione: 08/07/2022 ore 18

Orari: dal martedì alla domenica dalle 17 alle 19.30

Sede: Rocca Colonna, Piazza Vittorio Veneto, 10 Castelnuovo di Porto (Rm)

Contatti: 327.337.1588 / studiolab138@gmail.com

Sito: http://studiolab138.altervista.org

Tag: #LauraGiovannaBevione, #CarloChiatti, #DavideSgrò, #FabioTasso, #BaharHamzehpour, #ClaudiaLodolo, #AnnalisaMercuri #ArteContemporanea #DiSegni #CastelnuovoDiPorto #RoccaColonna

 

[1] G. Carofiglio, La nuova manomissione delle parole, Feltrinelli, Milano 2021, p.101

[2] MAC Musica Arte e Cultura, Villa Contarini, Albano Laziale (Rm), 23 settembre > 28 ottobre 2021

[3] F. Menna, La linea analitica dell’arte moderna, Einaudi, Torino, 1975/2001, p.XVI

[4] Ibidem, p.84

[5] Ibidem, p.27

[6] Ibidem, p.23

[7] Ibidem, p.56

Di Segni - Castel Gandolfo

Di Segni

Mostra Collettiva

dal 12 ottobre al 2 novembre 2022

Studio Lab 138

Via del Mare, 138 – Pavona di Castel Gandolfo (Rm)

Inaugurazione sabato 12/10/2022 ore 18

 

Esiste un modo per viaggiare nel tempo e nello spazio.

Un sistema che permette di scambiare informazioni, tramandare usanze, culture, storie, esperienze di vita e umani sentimenti, un sistema con cui ci si può immergere in realtà passate e proiettarsi nel futuro.

Questo sistema è la lingua, un codice basato sulle parole, un insieme di segni e simboli con cui gli umani comunicano a distanza.

“La rivoluzione cognitiva che ha permesso all’Homo sapiens di avere la meglio sulle altre specie animali è consistita proprio nella capacità di elaborare e raccontare storie, nell’attitudine a costruire metafore. […] Le storie – dalle leggende delle antiche religioni ai racconti biblici, ai miti della società di massa – tengono insieme le grandi collettività umane e permettono imprese che sarebbero impossibili senza la capacità di raccontare il passato e immaginare il futuro.”[1]

Di Segni, il titolo della mostra, prendendo in prestito il titolo di una installazione composta da cinque lavori realizzati da Claudia Lodolo site specifc per il MAC[2], ci permette di mettere in campo una riflessione sulla relazione tra parola e opera d’arte, una pratica che pur essendo nota e consolidata da tempo non smette di dare frutti inediti.

L’inserimento materiale di lettere e parole all’interno di un’opera d’arte, parte già dai collage di Picasso e Braque, ma solo dopo Duchamp diventa chiaro che non è solo una questione estetica, ma è un’operazione sempre e comunque “di ordine linguistico e concerne il significato”[3].

L’uso della parola, nel linguaggio dell’arte, diviene pratica fondamentale, quando, firmando una normale pala da neve, Anticipo di un braccio rotto (1915) e un orinatoio, Fontain (1917), Duchamp, inaugura una ricerca ancora oggi in atto e che riconosce in Magritte il suo esponente di spicco. Con Ceci n’est pas une pipe, Magritte dispone un cortocircuito tra immagine e parola, tra l’immagine della pipa e la sua definizione verbale.

Gli artisti Concettuali rispondono con consapevolezza alle riflessioni magrittiane: ciò che conta mentre si fa arte “è soprattutto l’assunto iniziale, l’atto mentale che stabilisce la linea del procedimento e gli stessi risultati da raggiungere.”[4]

La parola ha una valenza che nessun altro materiale dell’Arte ha, può “dare forma all’esperienza raccontandola e a volte manipolandola […] può, anche, definire il mondo in termini nuovi”[5]. Le parole “sembrano non avere peso e consistenza, sembrano essere volatili, ma sono in realtà meccanismi complessi e potenti, il cui uso genera effetti e (dovrebbe implicare) responsabilità. Le parole fanno le cose”[6].

 

[1] G.Carofiglio, La nuova manomissione delle parole, Feltrinelli, Milano 2021, p.101

[2] MAC Musica Arte e Cultura, Villa Contarini, Albano Laziale (Rm), 23 settembre > 28 ottobre 2021

[3] F. Menna, La linea analitica dell’arte moderna, Einaudi, Torino, 1975/2001, p.XVI

[4] Ibidem, p.84

[5] Ibidem, p.27

[6] Ibidem, p.23

Per l’installazione di Claudia Lodolo, ma in generale per tutti gli oggetti artistici, “ciò che conta non è l’opera in sé stessa, il suo valore formale, ma il procedimento intellettuale che l’opera fa scattare nella mente dell’osservatore, sconvolgendone le tranquille aspettative teoriche e visive”[1].  Vagando dal testo scritto all’opera pittorica e viceversa, in un continuo gioco di rimandi, le lettere, i numeri, le frasi e i paragrafi, metteranno in campo idee, problematiche e poetiche diverse a seconda di come questi saranno messi in relazione con la forma globale dell’opera.

Contenuto e forma si alternano e si rafforzano reciprocamente, perché il sistema concordato di segnali che rendono comprensibile a chi legge cosa voleva intendere chi ha scritto, si va a sommare alle peculiarità estetiche e formali dell’opera. Se poi, come nel caso della performance realizzata in occasione dell’inaugurazione grazie alla partecipazione e organizzazione dell’Associazione di Volontariato Mettiamoci in Gioco, la lettura delle opere viene arricchita dall’interpretazione teatrale, si apriranno infinite possibilità di lettura, le lettere, le parole e i testi, che siano solo inseriti o siano parte preponderante dell'opera non comunicheranno mai solo e soltanto il concetto espresso, ma si arricchiranno e accresceranno esponenzialmente i possibili significati leggibili.

 

[1] Ibidem, p.56

Collocando un diaframma tra lettore e contenuto testuale Carlo Chiatti, mette in discussione l’accordo implicito che c’è tra mittente e destinatario.

In Tilt e Apatheia il lettore, obbligato a districarsi in un labirinto di segni d’acciaio che celano parzialmente i testi incisi, percepisce la barriera come un oggetto estetico, un complemento da mettere in relazione tra i vari elementi componenti l’opera. Il sistema di relazioni tra parola scritta e forma concreta dell’opera, pur rimandando a concetti invisibili mantiene il patto tra mittente e destinatario, mentre in Typicòn, questo patto viene disatteso, l’opera gentilmente concessa in prestito dalla Congregazione d’Italia dei Monaci Basiliani custodi dell’Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata, frappone una distanza culturale tra mittente e destinatario. Intagliando sulla lamiera grafemi e parole in greco antico, l’artista marchigiano mette in dubbio la convenzione normalmente stipulata tra mittente e destinatario, mettendo in campo una riflessione sulla necessità di condivisione del codice espressivo, una adesione che avviene a livello inconscio, poiché si dimentica che la lingua è uno strumento di cui si tende a ricordare solo l’effetto. Utilizzando un codice linguistico estraneo alla maggior parte dei lettori il contenuto testuale sarà riservato a pochi, il restante pubblico potrà solo apprezzare il valore estetico della croce greca che si intravede grazie alla doratura di parte della superficie metallica.

I racconti orali e i libri si basano tutti su questa convenzione che rende possibile a chi ascolta o legge di cogliere i concetti e le informazioni che chi parla o scrive voleva trasmettere, connettendoli.

Un sistema che prevede la distribuzione di lettere, parole e frasi con un’organizzazione che se viene a mancare, non consente il passaggio di informazione, se infatti il segno è isolato, disconnesso e l’ordine lessicografico non è rispettato come nel lavoro di Fabio Tasso, i segni e i simboli collocati sulla superficie, non comunicheranno concetti verbali, apparentemente non trasmetteranno significato.

Il concetto espresso nel trittico E0TXY22VO dell’artista ligure, va ricercato nel gioco vuoto-pieno e nella serialità delle opere, con il suo lavoro Fabio Tasso mette in campo le riflessioni sull’opera d’arte nell’epoca della sua possibile riproducibilità tecnica e sull’impossibilità di comunicare in assenza di un’organizzazione coerente dei simboli e dei segni. 

Una coerenza che può venire a mancare per tante ragioni.

Nelle opere di Davide Sgrò: Il Dio dei sicuri, Un nuovo linguaggio e Pre/senza; informazioni apparentemente replicabili all’infinito, a causa di un guasto tecnico, o del semplice passare del tempo, si sono deteriorate.

I frammenti di frasi, di lettere e numeri, come reperti archeologici, mettono in campo molteplici riflessioni.

Una riflessione sul cambio di paradigma, a cui stiamo assistendo, causato dal rapporto sempre più stretto con le macchine e con la realtà virtuale.

Una riflessione sulle conseguenze della digitalizzazione.

Ed infine una riflessione sull’impronta che il tempo può lasciare con il suo passaggio sulle informazioni affidate alle macchine.

I frammenti e le tracce presenti nelle opere dell’artista calabrese, rimandano al destino del sapere trasmesso e conservato.

Scritto su carta, recitato a voce o registrato su file il destino del sapere e delle informazioni trasportato dai segni è sempre affidato alla benevolenza del tempo nella speranza di evitare o almeno rimandare il più possibile l’oblio.

Il recupero della memoria e la paura dell’oblio sono temi messi in campo anche con l’installazione a due canali proposta da Laura Giovanna Bevione. L’installazione senza titolo solleva un interrogativo sul destino dei documenti affidati alle macchine (testi, immagini e suoni).

Grazie ai sistemi video la lingua orale ha acquisito la facoltà di essere immagazzinata e riprodotta da chiunque con facilità, ma anche questa facoltà deve fare i conti con il tempo e con possibili guasti in cui le macchine possono incorrere.

I due video parlano in modo diverso di una memoria persa, il primo con la ripetizione del messaggio “Problema di Collegamento. L’unità o connessione di rete alla quale da riferimento il collegamento non è disponibile” mette in campo una riflessione sulla fallibilità delle macchine, il secondo raccontando la storia di alcune persone, di cui si sono perse tutte le tracce, le riporta in vita per poi distruggerle con le parole.

Un meccanismo che ci costringe a fare i conti con la nostra storia e la provvisorietà del nostro destino, condannati ad un inappellabile oblio senza quasi eccezioni.

 

Bahar Hamzehpour mette invece in campo una riflessione sulla disarmonia e l’interferenza, con il video Segno, Suono e Significato e della serie di litografie Le Parole e Le Immagini, sovrapponendo più volte la stessa parola detta in lingue diverse, porta alla nostra attenzione le difficoltà e le incomprensioni causate da codici linguistici non condivisi e dalle interferenze causate dall’eccesso di informazioni.

Residente da anni in Italia, per lavoro l’artista traduce e interpreta in 4 idiòmi, una pratica che la vede costretta a pensare, scrivere e parlare in molte lingue diverse, con le sue opere mette in campo una riflessione autobiografica sul multilinguismo, ribadendo quanto ogni atto comunicativo ha come premessa necessaria la presenza di un medium comune: la lingua.

Annalisa Mercuri con l’opera Dunning-Kruger pone l’attenzione sul peso e l’importanza delle parole, sull’esigenza di leggere oltre il codice.

Utilizzando due medium diversi, per realizzare il contenuto testuale dell’opera, sottolinea il peso diverso che termini apparentemente simili hanno. Liberamente ispirato all’opera di Kosuth, non rifletta sul concetto di realtà e di rappresentazione, ma sui meccanismi di apprendimento,

essendo la scrittura manuale un chiaro riferimento ai metodi educativi.

L’artista veronese mettendo a confronto conoscenza e nozionismo mette in campo anche una profonda riflessione su come i cambiamenti causati dal mondo digitale e dagli ambienti virtuali stanno influenzando la

conoscenza tradizionale.

Titolo: Di Segni

Tipologia evento: Mostra collettiva, Arte contemporanea

Artisti: Laura Giovanna Bevione, Carlo Chiatti, Bahar Hamzehpour, Claudia Lodolo, Annalisa Mercuri, Davide Sgrò, Fabio Tasso.

 

Curatore: Laura Giovanna Bevione.

 

Abstract: Prendendo spunto da cinque lavori di Claudia Lodolo, la mostra per mettere in campo una riflessione sulla relazione tra parola e opera d’arte. In un gioco di rimandi tra contenuto e forma le lettere, le parole e testi sì arricchiscono di significati, alternandosi e rafforzandosi reciprocamente.

 

Date: dal 02/10 al 2/11 2022

Inaugurazione: 02/10/2022 ore 18

Orari: Su appuntamento chiamando il 327.337.1588

Sede: Studio Lab 138, via del Mare, 138, Castel Gandolfo (Rm)

Contatti: 327.337.1588 / studiolab138@gmail.com

Sito: http://studiolab138.altervista.org

Tag: #LauraGiovannaBevione #CarloChiatti, # Davide Sgrò, #Fabio Tasso, #BaharHamzehpour, #ClaudiaLodolo, #AnnalisaMercuri #ArteContemporanea

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